Lo scorso 24 ottobre, in occasione di Diplomacy – Festival della Diplomazia, ho avuto il privilegio di partecipare al panel “La diplomazia degli enti locali”, svoltosi presso la LUISS e sapientemente moderato dal prof. Raffaele Marchetti. Il tema della cosiddetta urban diplomacy, che in Italia ancora fatica a trovare un proprio ruolo chiaro ed una visione omogenea, rappresenta in realtà un aspetto critico e di grande rilevanza strategica nello scenario della diplomazia internazionale. La demografia spaziale ha dimostrato con evidenza la rapida trasformazione del rapporto tra società e territorio, sia da un punto di vista della distribuzione spaziale, sia da un punto di vista di differenziazione funzionale dei contesti geografici. La città è oramai divenuta il centro nevralgico degli ecosistemi socio-economici, caratterizzandosi, contemporaneamente, come il contesto aggregativo maggiormente impattante rispetto agli equilibri ambientali e geopolitici. Da un punto di vista della gerarchia dei livelli di legittimità della rappresentanza istituzionale di un Paese, la città gioca oggi un ruolo che fino a tempi recenti non avrebbe potuto nemmeno immaginare. Se da un lato la riacquisizione di una volontà auto-rappresentativa da parte della società (con i fenomeni spesso riuniti sotto un’imprecisata etichetta di populismo), ha determinato un rinnovato ruolo della civitas anche nello spazio fisico originario della città, dall’altro la creazione di reti di affinità tra città caratterizzate da condizioni simili ha trasferito il ruolo del networking inter-istituzionale dal livello di relazione formale ad una dimensione di cooperazione sostanziale.
Potremmo anzi dire che la città sta vivendo in generale un processo di de-istituzionalizzazione sostanziale, che dovrebbe riposizionare al centro della scena la comunità dei cittadini, che della città rappresentano il valore effettivo e il potenziale inespresso. Come ho avuto modo di evidenziare alla conferenza di Roma, sempre più assistiamo ad un processo di destrutturazione formale della relazione internazionale, che si muove oramai su livelli plurimi, talvolta su direttrici coincidenti, talvolta apparentemente discordanti. In questo orizzonte la città gioca un ruolo fondamentale di avvicinamento della realtà spesso troppo lontana della diplomazia internazionale alle esigenze più che concrete che invece caratterizzano le strategie di sviluppo di un contesto urbano. La maggiore verificabilità dell’operato reale e la minore distanza tra elettore ed eletto rende potenzialmente la città un vero e proprio ecosistema partecipato, in cui le imprese e tutti gli attori del territorio possono giocare un ruolo attivo, anche, com’è evidente e legittimo pensare, a proprio vantaggio. La città, anzi, può fondare la propria forza sulla maggiore capacità di concertazione ed armonizzazione tra gli interessi specifici degli attori locali, con evidenti conseguenze positive in termini di coerenza della pianificazione a medio e lungo termine. Contestualmente, la città può svolgere un ruolo più diretto – meno mediato – di leadership rispetto agli attori del territorio (siano essi imprese, associazioni o istituzioni d’altronde tipo) e rispetto alla cittadinanza. In un certo senso, possiamo affermare che il potenziamento, volontario o involontario, della città come attore diplomatico, contribuisce fortemente a rendere la cittadinanza, e quindi ciascun cittadino, un attore diplomatico primario.
Tra i tanti studi di settore, ritengo che in particolare il lavoro di Michele Acuto e di Sam Tabory abbiano contribuito fortemente a concettualizzare la complessità della diplomazia urbana e a riordinarne le numerose sfaccettature. Com’è evidente, ogni Paese ha la propria storia amministrativa ed il proprio sistema normativo, condizionante nel corso della storia e vincolante nell’elaborazione delle scelte strategiche, ma quella che potremmo definire come la fenomenologia della diplomazia urbana è sostanzialmente riconducibile ad alcune macrocategorie condivise, su cui non mi soffermerò in questa sede. Mi permetto di rinviare al paper Toward City Diplomacy, promosso dal Chicago Council on Global Affairs (in collaborazione con il City Leadership Laboratory dell’UCL e la School of Design della University of Melbourne), che in maniera esemplare contribuisce a sistematizzare la natura multiforme e fluida delle strategie di internazionalizzazione delle amministrazioni cittadine e degli ecosistemi locali di governo partecipato. Come ho avuto modo di spiegare a Roma, tuttavia, ritengo oggi più che mai necessario riattivare un processo di riumanizzazione delle relazioni istituzionali, trasferendo la responsabilità della rappresentanza, della riflessione strategica condivisa, della stessa pianificazione urbana, alla cittadinanza. I sistemi concettuali elaborati dall’equipe internazionale che con encomiabile rigore ha cercato di immortalare uno scenario complesso nel paper citato, devono rappresentare architetture teoriche di orientamento, all’interno delle quali la cittadinanza deve essere coinvolta ed attivata, sia tramite processi formalmente predifiniti, sia tramite occasioni di partecipazione informale. Oggi, una riflessione seria sulla diplomazia urbana non può prescindere da un’analisi lucida dell’impatto della cosiddetta “citizen-centred diplomacy”. Non può esistere realmente una strategia di diplomazia urbana senza un piano di attivazione e potenziamento della diplomazia della civitas, della cittadinanza.
L’esempio di #ArigamoArigato – Modena meets Tokyo, un evento di diplomazia culturale ed economica svoltosi a Modena tra 12 e 14 ottobre, ha reso la città emiliana il centro di sviluppo di una piattaforma di cooperazione tra ecosistemi imprenditoriali e contesti culturali emiliani e giapponesi, tramite un dialogo strutturato con la metropoli nipponica ed il suo tessuto produttivo. In questo caso, le istituzioni amministrative hanno giocato un ruolo pressoché marginale, lasciando alla libera iniziativa di professionisti lungimiranti la sfida di attivare circoli virtuosi di collaborazione tra sistemi economici e culturali così distanti. Il lavoro straordinario svolto da Ferdinando Previdi, da Stefano Galletti e da Marco Mango, che hanno avuto la capacità di generare interesse e di rendere concreta una visione, ha dimostrato come ogni cittadino possa giocare un ruolo di assoluta rilevanza nel posizionamento del valore di una città – e non solo del suo brand – nell’orizzonte sfuggente della diplomazia internazionale. Il ruolo di una città è quello di rappresentare la natura della civitas di cui è articolazione organizzata.
Nell’immediato futuro a venire la diplomazia urbana dovrà sempre più assumere i tratti di una diplomazia umana, che garantisca e supporti gli attori che, a vario titolo, possano esprimere correttamente il valore del territorio. Se da un lato la democrazia dovrà sempre più riappropriarsi del carattere sostanziale della propria natura formale, dall’altro la diplomazia dovrà riuscire ad esprimere il valore potenziale della rappresentanza informale. Sia ovviamente tutelato il rispetto dei registri comunicativi formali, necessari e imprescindibili, ma non si impedisca allo spontaneismo della cittadinanza di dare voce alla propria inconsapevole legittimità diplomatica. Lo si guidi, lo si corregga, ma non si faccia nulla per inibirne il valore.