Tra 11 e 15 dicembre 2017 si è svolta a Delhi la 19ª Assemblea Generale dell’International Council on Monuments and Sites (ICOMOS), dedicata al tema Heritage and Democracy. Nel corso degli ultimi due decenni la riflessione istituzionale internazionale ha sempre più riportato l’attenzione sulla dimensione sociale del patrimonio culturale, in un certo senso riumanizzando una cultura che troppo spesso è stata intellettualizzata e privata della sua dimensione più vitale. Lo slittamento dalla storia dell’arte alla storia sociale dell’arte, che avviene e matura nella seconda metà del ‘900, aveva già, in qualche modo, posto le fondamenta per un progressivo ripensamento del valore sociale della produzione culturale, con una rapida accelerazione dovuta alla sempre più prolifica contaminazione tra antropologia culturale e filosofia dell’arte. E’ tuttavia soprattutto con la diffusione dell’esperienza delle public humanities prima, e dei critical studies poi, che il focus della riflessione scientifica si sposta dal patrimonio culturale alla comunità che ne ha determinato la creazione, consentito la conservazione e ricevuto l’eredità. Se consideriamo la storia del patrimonio culturale non come una storia conclusa, ma come una storia in divenire, allora ogni comunità deve trasformarsi in interlocutore attivo e conservatore partecipe.
Con la Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società (meglio nota come Convenzione di Faro, 2005), la prospettiva internazionale rimarca la centralità della società nella concezione del patrimonio culturale. I due concetti di cultural heritage e di heritage community, esplicitati all’articolo 2 della Convenzione, ridefiniscono in maniera evidente un nuovo approccio al rapporto tra la storia della cultura e la società, rendendo necessaria una nuova metodologia di gestione e conservazione attiva del patrimonio. Riprendendo il testo della Convenzione:
- Cultural heritage is a group of resources inherited from the past which people identify, independently of ownership, as a reflection and expression of their constantly evolving values, beliefs, knowledge and traditions. It includes all aspects of the environment resulting from the interaction between people and places through time;
- A heritage community consists of people who value specific aspects of cultural heritage which they wish, within the framework of public action, to sustain and transmit to future generations.
Due aspetti attirano immediatamente l’attenzione, in un certo senso sparigliando le carte di una prospettiva statica ormai consolidata da decenni di pratica e riflessione istituzionale. Il primo è il riconoscimento del patrimonio culturale come “espressione del processo costante di trasformazione dei valori, delle credenze, della conoscenza e delle tradizioni di una società”. Il secondo è la ricontestualizzazione del patrimonio in un contesto di “azione collettiva” (lett. “azione pubblica”) della comunità, che contribuisce a definire un processo di trasformazione, selezione e orientamento dell’eredità culturale di cui è portatrice. Per la prima volta ritroviamo, formalizzato in un documento istituzionale di valenza sovranazionale, il riconoscimento della natura dinamica del patrimonio culturale e la sua necessaria intersezione con la dimensione sociale. Benché la Convenzione abbia interesse prevalente per i Paesi aderenti al Consiglio d’Europa, si tratta tuttavia di un esempio potenzialmente ispiratore a livello globale della necessaria intersezione tra politiche culturali e sviluppo democratico.
Riprendendo le parole di Ernest Bevin, Segretario per gli affari esteri del Regno Unito, in occasione della firma del Trattato di Londra (atto fondativo del Consiglio d’Europa), il 5 maggio 1949, We are witnessing today the establishment of a common democratic institution on this ancient continent of Europe. Effettivamente il Trattato richiama, tra le premesse, i Paesi fondatori e la loro devotion to the spiritual and moral values which are the common heritage of their peoples and the true source of individual freedom, political liberty and the rule of law, principles which form the basis of all genuine democracy. La finalità principale del Consiglio è esplicitata come the pursuit of peace based upon justice and international co-operation, riconosciuta e definita vital for the preservation of human society and civilisation, riverberando, pur senza citarla direttamente, la Costituzione dell’UNESCO (16 novembre 1945), secondo la quale since wars begin in the minds of men, it is in the minds of men that the defences of peace must be constructed. E’ evidente quanto i traumi generati dalla Seconda Guerra Mondiale condizionassero la sensibilità sociale e la visione politica dell’epoca, ma appare altrettanto chiaro quanto – allora come oggi – possa essere fondamentale l’estremizzazione di una condizione per rendere riconoscibili dinamiche altrimenti poco evidenti. Il silenzio attonito lasciato dalla guerra facilitava l’esercizio di una più acuta capacità critica di selezione delle strategie politiche da adottare.
Sessanta anni dopo la fondazione dell’UNESCO, il Consiglio d’Europa ha immesso sulla scena internazionale una nuova convenzione, per riaffermare la dimensione umana e sociale del patrimonio culturale, cercando di prevenire un nuovo rischio – oggi quanto mai reale – di disumanizzazione della cultura, che la renderebbe tanto sterile quanto manipolabile. Dopo anni di riflessioni scientifiche, di sperimentazioni progettuali, di trasformazioni istituzionali, ICOMOS propone, nella Dichiarazione di Delhi sul Patrimonio e la Democrazia, un piano operativo di perfezionamento delle strategie di gestione e di conservazione attiva del patrimonio, individuando quattro azioni: 1. gestire il patrimonio culturale in funzione del nostro futuro comune; 2. implementare, relativamente al patrimonio, principi etici e una strategia educativa; 3. promuovere processi inclusivi per la comunità democratica; 4. garantire la sopravvivenza del patrimonio vivente.
Le azioni espresse possono apparire, ad una prima lettura, il frutto di un atteggiamento di pura autoreferenzialità retorica. Credo tuttavia che sia necessario ricontestualizzare le prospettive e rifunzionalizzare le strategie politiche. Negli anni in cui il cosiddetto soft power fatica a trovare la propria funzione nella geopolitica e nella diplomazia internazionale, in cui la stessa politica fatica a definire strategie complesse di interazione tra strumenti del potere e della diplomazia, la cultura può e dovrebbe riacquisire il proprio ruolo di orientamento e condizionamento dei processi decisionali. In uno scenario globale di crescente complessità informativa – con tutto ciò che ne deriva, dal punto di vista degli umori economici e delle improvvisazioni sociali – non possiamo più prescindere dal ristabilimento di una capacità di pensiero complesso. Cultura oggi deve significare, prima di ogni altra cosa, capacità di individuazione degli orizzonti corretti di senso, per consentire alla politica di diventare nuovamente uno strumento di rappresentanza, tutela e valorizzazione del patrimonio umano. Cultura oggi deve significare, innanzitutto, sviluppo di un nuovo umanesimo politico.